Molto spesso accade che i comportamenti maltrattanti inizino nell’ambito di un contesto familiare, tra persone legate da una stabile relazione di convivenza e proseguano anche dopo l’interruzione della relazione affettiva e della convivenza. Si pone così il dubbio in ordine alla configurabilità di due diverse fattispecie di reato: maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e atti persecutori in danno dell’ex convivente/coniuge (art. 612 bis, secondo comma, c.p.).
Secondo un risalente orientamento giurisprudenziale, il confine tra i due delitti veniva individuato nell’interruzione della convivenza tra i coniugi/conviventi, distinguendo le condotte vessatorie in maltrattamenti in famiglia durante il periodo di convivenza e in atti persecutori dopo l’interruzione della convivenza.
Sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione in plurime riprese e, più recentemente, con la
sentenza 4 luglio 2024, n.20352, aderendo a un diverso orientamento giurisprudenziale secondo cui “integrano il reato di maltrattamenti in famiglia, e non quello di atti persecutori, le condotte vessatorie nei confronti del coniuge che, sorte in ambito domestico, proseguano dopo la sopravvenuta separazione di fatto o legale, in quanto il coniuge resta “persona della famiglia” fino alla cessazione degli effetti civili del matrimonio (o allo scioglimento del vincolo matrimoniale), a prescindere dalla convivenza”.
La Corte di Cassazione ha, infatti, evidenziato la necessità di tener conto del vincolo coniugale tra l’imputato e la persona offesa ed ha rinvenuto nel divorzio (e non nella mera interruzione della convivenza) la linea di demarcazione tra il reato di maltrattamenti e quello di atti persecutori per le condotte vessatorie subite da uno dei due coniugi.
La separazione tra i coniugi, motiva la sentenza, deve essere considerata “una condizione che incide soltanto sull’assetto concreto delle condizioni di vita, ma non sullo “status” acquisito con il matrimonio, dispensando dagli obblighi di convivenza e fedeltà, ma lasciando integri quello di reciproco rispetto, assistenza morale e materiale, e collaborazione nell’interesse della famiglia, che discendono dall’art. 143, comma 2 cod. civ.”
Tale principio di diritto è stato confermato anche dalle successive pronunce, lasciando, però, aperte le questioni riguardanti i contesti di responsabilità genitoriale post-divorzio, negando la maggior tutela offerta dal delitto di maltrattamenti, procedibile d’ufficio, rispetto a quella minore conferita dal delitto di atti persecutori, procedibile a querela di parte.